Quando una bambina di sette anni inizia a manifestare pensieri svalutanti verso se stessa, molti genitori si trovano in una posizione delicata: da un lato vorrebbero proteggere la propria figlia dal dolore emotivo, dall’altro temono di non essere d’aiuto o di peggiorare la situazione. Questa fase dello sviluppo coincide infatti con l’ingresso nella scuola primaria, momento in cui i bambini iniziano a confrontarsi sistematicamente con i coetanei e sviluppano quello che gli psicologi chiamano senso di competenza. Non si tratta di un capriccio passeggero, ma di un’importante finestra evolutiva in cui si costruiscono le fondamenta dell’autostima adulta.
Il vero significato dietro le parole di autosvalutazione
Quando una bambina ripete “non sono brava” o “gli altri sono più bravi di me”, raramente sta facendo un’analisi oggettiva delle proprie capacità. Piuttosto, sta comunicando un disagio emotivo che merita attenzione. Secondo la ricerca di Carol Dweck dell’Università di Stanford sul mindset, i bambini che sviluppano una mentalità fissa tendono a interpretare gli errori come conferme della propria inadeguatezza, mentre quelli con mentalità di crescita li vedono come opportunità di apprendimento.
La chiave non sta nel negare i sentimenti della bambina con frasi tipo “non è vero, sei bravissima”, che paradossalmente possono aumentare la pressione e far sentire il bambino incompreso. Il rischio è creare una disconnessione: la bambina percepisce una difficoltà reale, mentre il genitore la nega, generando confusione e isolamento emotivo. Questo fenomeno è descritto nella letteratura sulla regolazione emotiva infantile come una forma di invalidazione emotiva, che può compromettere lo sviluppo della sicurezza emotiva e della capacità di esprimere i propri stati interni.
Validare senza amplificare: l’equilibrio che fa la differenza
Il primo passo efficace consiste nel praticare l’ascolto riflessivo. Quando la bambina esprime frustrazione, una risposta utile potrebbe essere: “Vedo che questa cosa ti sembra davvero difficile in questo momento. Cosa ti fa pensare di non essere brava?”. Questa tecnica, utilizzata nella terapia cognitivo-comportamentale infantile, permette al bambino di sentirsi compreso senza che il genitore confermi o neghi la valutazione negativa.
La validazione emotiva non significa essere d’accordo con l’autovalutazione negativa, ma riconoscere che il sentimento provato è legittimo. Esiste una differenza sostanziale tra dire “capisco che ti senti così” e “hai ragione, è difficile per te”. Il primo approccio apre al dialogo, il secondo cristallizza un’identità limitante. Questo principio è centrale nella terapia dialettico-comportamentale per adolescenti e nella psicoterapia infantile, dove la validazione è considerata un prerequisito per il cambiamento.
Spostare il focus dal risultato al processo
La ricerca neuropsicologica evidenzia come i complimenti generici (“sei bravissima”) siano meno efficaci nel costruire autostima rispetto ai feedback specifici orientati al processo. Uno studio pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology ha dimostrato che lodare l’intelligenza può paradossalmente indebolire la motivazione e le prestazioni dei bambini. Invece di lodare il talento innato, risulta più produttivo valorizzare lo sforzo, le strategie utilizzate e il miglioramento progressivo.
Esempi concreti di questo approccio includono sostituire “sei brava a disegnare” con “ho notato come hai mescolato i colori per creare quella sfumatura, hai sperimentato diverse tecniche”, oppure trasformare “sei intelligente” in “hai risolto quel problema in un modo che non avevo considerato, come ci sei arrivata?”, o ancora cambiare “non preoccuparti, per te è facile” con “all’inizio sembrava complicato, ma hai continuato a provare finché non hai trovato il modo giusto”.
Questo tipo di rinforzo aiuta la bambina a sviluppare quella che gli psicologi chiamano locus of control interno: la percezione che i risultati dipendano dal proprio impegno e dalle strategie utilizzate, non da qualità immutabili o dal giudizio esterno.
Condividere le proprie vulnerabilità nel modo giusto
Un approccio sorprendentemente efficace, supportato dalla ricerca sulla resilienza infantile, consiste nel condividere selettivamente le proprie esperienze di difficoltà, sempre contestualizzate e con focus sulla gestione, non sul fallimento stesso. Gli studi sulla resilienza mostrano che i bambini che crescono in contesti difficili ma con adulti che modellano strategie di coping efficaci sviluppano maggiore adattamento e autostima.

Una mamma potrebbe raccontare: “Sai, quando avevo la tua età, pensavo di non essere brava in matematica. Poi la maestra mi ha fatto capire che ogni volta che sbagliavo, il mio cervello stava in realtà imparando. Adesso quando qualcosa mi sembra difficile, penso che il mio cervello si sta allenando”. Questo tipo di narrazione normalizza la difficoltà e offre un modello di gestione emotiva, in linea con i principi della modellazione sociale.
Creare esperienze di competenza calibrate
L’autostima si costruisce attraverso esperienze concrete di competenza, non attraverso rassicurazioni verbali. Il genitore può progettare intenzionalmente piccole sfide alla portata della bambina, dove il successo sia probabile ma non scontato. Questo concetto, chiamato zona di sviluppo prossimale, rappresenta quello spazio di apprendimento dove il bambino può riuscire con un supporto appropriato.
Potrebbe trattarsi di cucinare insieme una ricetta semplice seguendo i passaggi, completare un puzzle leggermente più complesso del solito, o prendersi cura di una piccola pianta. L’elemento cruciale è che la bambina percepisca la sfida come reale e il successo come frutto del proprio impegno, non come qualcosa di regalato o facilitato eccessivamente. Questo processo è coerente con la teoria dell’autodeterminazione, secondo cui la percezione di competenza è uno dei tre bisogni psicologici fondamentali per il benessere.
Quando i paragoni sociali diventano tossici
A sette anni, i bambini sviluppano la capacità di confronto sociale, competenza cognitiva importante ma potenzialmente dannosa per l’autostima. Se la bambina dice “gli altri sono più bravi di me”, vale la pena esplorare il contesto di questo confronto. Lo sviluppo del confronto sociale è parte del passaggio dal pensiero egocentrico a una visione più sociale del mondo.
Un dialogo costruttivo potrebbe includere domande come: “Più bravi in cosa, esattamente?” oppure “C’è qualcosa in cui tu ti senti a tuo agio che magari per altri è difficile?”. L’obiettivo è aiutare la bambina a sviluppare un pensiero più sfumato e meno dicotomico, riconoscendo che le competenze sono molteplici e distribuite diversamente. Questo approccio è in linea con le strategie cognitive utilizzate nella terapia cognitivo-comportamentale per bambini, che mirano a ridurre pensieri rigidi e distorsioni cognitive come la generalizzazione e la comparazione eccessiva.
Parallelamente, il genitore dovrebbe monitorare attentamente i propri comportamenti: i confronti che facciamo inconsapevolmente tra fratelli, le aspettative implicite comunicate attraverso il tono di voce, e i messaggi ricevuti da scuola o attività extrascolastiche possono alimentare questa tendenza all’autosvalutazione. Ricerche sul parenting mostrano che le aspettative elevate e non realistiche, soprattutto se accompagnate da critiche, sono associate a maggiore ansia e bassa autostima nei bambini.
Riconoscere quando serve un supporto professionale
Sebbene molte manifestazioni di insicurezza rientrino nello sviluppo tipico, alcuni segnali suggeriscono la necessità di consultare uno psicologo infantile: persistenza dei pensieri negativi per oltre tre mesi, evitamento sistematico di situazioni sociali o scolastiche, sintomi fisici associati come mal di pancia o disturbi del sonno, o comportamenti regressivi.
La richiesta di aiuto professionale non rappresenta un fallimento genitoriale ma un atto di responsabilità: così come consultiamo un pediatra per problemi fisici persistenti, la salute emotiva merita la stessa attenzione qualificata. Terapie evidence-based come la terapia cognitivo-comportamentale hanno dimostrato grande efficacia nell’aiutare i bambini a sviluppare pensieri più flessibili e funzionali su se stessi.
Il percorso verso un’autostima sana non è lineare né rapido. Richiede pazienza, coerenza e la capacità di tollerare l’incertezza che inevitabilmente accompagna la crescita. Il ruolo del genitore non è eliminare ogni difficoltà dal percorso della propria figlia, ma dotarla degli strumenti emotivi e cognitivi per affrontarle con crescente autonomia e fiducia nelle proprie risorse.
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